18 Gen Approfondimenti stupefacenti: “Notti tossiche”, intervista ad Enrico Petrilli
Enrico Petrilli è assegnista di ricerca all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove sta svolgendo uno studio sulla securitizzazione della notte.
Ha svolto attività di ricerca, tutoraggio e formazione nelle Università degli Studi di Torino, di Milano-Bicocca e del Piemonte Orientale e presso l’Istituto di ricerca Eclectica di Torino.
Ha scritto di clubbing, droghe e piaceri.
Sarà presente con noi, durante la rassegna Approfondimenti stupefacenti, il 19 Gennaio, alle ore 18, al Centro Java!
Ciao Enrico! Partiamo subito col chiederti: dove nasce la cultura del clubbing, quando approda in Italia e com’è la sua evoluzione dagli esordi ad oggi?
Diciamo che la storia della società danzante, prima che del clubbing, è una storia lunga e che può essere ritrovata in diverse nazioni, in diverse culture e anche all’interno delle stesse ci sono dei contesti diversi, che hanno caratteristiche specifiche: ci sono state le sale da ballo borghesi da un lato e i punti di ritrovo operai dell’altro, in cui si ballava.
C’erano le balere, appartenenti alla cultura popolare italiana e c’erano poi invece i club più libertini, in cui al ballo e ai consumi alcolici, tipici dei luoghi da ballo dell’800 e 900, si potevano anche trovare delle esperienze un po’ più liminali e sessuali.
Se dobbiamo cercare un’origine alla storia del clubbing possiamo trovarlo nella New York di fine anni ’60 e inizio ’70, in una scena frequentata da quelli che Tim Lawrence chiama party pariahs, ossia un gruppo di persone sessualmente ed etnicamente differenziato, che si divertono con la musica e sperimentano con sostanze stupefacenti di diverso genere.
I punti di incontro dei party pariahs sono diversi: sicuramente dobbiamo citare le feste di David Mancuso dal nome “Loves Saves The Day”, nel suo loft.
Ma c’erano anche molti e diversi club, allora, sulla scena newyorkese.
I party pariahs possono essere descritte come soggettività ai margini sia della cultura benestante americana, che chiaramente li giudicava per le loro condotte immorali, sia della controcultura del tempo: la hippy.
L’origine del clubbing possono essere ricondotte a questa scena perché in essa troviamo alcuni aspetti molto importanti che si troveranno poi nel clubbing contemporaneo: l’attenzione maniacale per la musica, anche se non esisteva ancora la musica elettronica, i djs fanno già dei mixing che è un’arte che inizia il suo sviluppo proprio in questo periodo. Non ci sono più le band che suonano live, viene usata la musica registrata, non un pezzo dopo l’altro in successione come avveniva in radio ma appunto viene mixata.
Ci sono poi altri aspetti fondamentali come le sostanze stupefacenti, che iniziano a essere sperimentate in questo contesto: troviamo l’utilizzo di psichedelici di varia natura, l’ecstasy e altre sostanze come ad esempio il popper.
Inoltre in questi ambienti avviene l’incontro, inteso come incontro sessuale, che ha una certa importanza perché è una scena principalmente composta da soggetti lgbtq che non avevano spazi e anzi erano perseguitati, ad esempio tra maschi il ballo era illegale, sono quindi spazi d’incontro ma anche spazi in cui si può sentire al sicuro rispetto ad una società che è ancora altamente bigotta e conservatrice.
Da allora la storia della musica elettronica è difficile da riassumere in poche parole, quello che è importante da dire è che dopo questo inizio-non inizio della scena del clubbing, si sviluppa la vera e propria musica elettronica, quindi si inizia a sperimentare con certe strumentazioni che permetteranno lo svilupparsi di questo genere musicale.
Da qui inizia un percorso di sperimentazione che coinvolge anche altre città: ad esempio è facile da ricordare come la House nasca a Chicago nella comunità nera omosessuale lgbtq e invece la techno a Detroit tra i giovani del proletariato anche in questo caso afroamericano.
Da lì c’è un passaggio della musica elettronica verso l’Europa, che arriva abbastanza presto anche nel nostro continente, dove troviamo tutta una serie di scene musicali locali che si sviluppano nel tempo e porterà poi a diversi sounds che diventeranno caratteristici, ad esempio la musica gabber in Olanda, a Rotterdam, la musica techno berlinese e così via.
Nella storia del clubbing è importante dire che le sue pratiche erano per soggettività marginali, mentre oggi si tratta di una florida industria culturale con djs che viaggiano in tutto il mondo, anche grazie ai propri jet privati, in cui vengono organizzati festival che ospitano una quantità infinita di artisti per un solo weekend e dove quindi il fatturato e la produzione economica è tanto importante quanto quella dimensione estetica che differenzia la musica elettronica da altri generi musicali.
Per quanto riguarda il nostro paese sicuramente un punto importante nella storia della musica elettronica e stata la Baia degli Angeli, che poi è diventata la Baia Imperiale, in cui già alla fine degli anni ‘70 ci sono djs statunitensi che importano questo genere di musica, qui nasce Daniele Baldelli.
Un altro punto importante nella storia della musica elettronica italiana è quello che succede a Roma prima dell’arrivo della scena rave, quando già era fine anni ’80-inizio ’90, Lory D. e altri djs organizzano serate in luoghi commerciali.
E’ importante sottolineare come abbia caratterizzato il nostro paese il fatto che non ci si sia mai sforzati troppo di comprendere cosa ci sia dietro il fenomeno del clubbing. Tranne in rari casi, ad esempio penso al lavoro della sociologa Maria Teresa Torti, che negli anni ’90 fa una ricerca sul clubbing, l’atteggiamento generale è stato sempre di tipo paternalistico, giudicante, in cui la morale arriva prima dell’interrogarsi su questo fenomeno, su che caratteristiche avesse e cosa significasse per le persone che lo sperivano.
La cultura del clubbing si può definire controcultura?
E, in ogni caso, in cosa si differenzia rispetto alle altre subculture legate al contesto del divertimento, come ad esempio quella dei free-party?
Diciamo che la risposta è molto complessa e devo ammettere che non è il tipo di risposta che andavo cercando e ha poi portato a Notti Tossiche, il mio è un lavoro sociologico e quello che volevo andare ad osservare erano altri aspetti, che dal mio punto di vista rendono interessante il mondo del clubbing e il mondo attorno ai club di musica elettronica.
Sono due gli aspetti che mi interessava andare ad analizzare: prima di tutto i meccanismi di controllo che caratterizzano questi luoghi, che per quanto vengano descritti da delle vulgate semplicistiche come degli spazi di devianza, degli spazi di eccesso, degli spazi di mancanza di morale, allo stesso tempo però sono anche gli spazi di consumo definiti, decisamente controllati. In questi spazi ci sono infatti delle persone, pagate come butta fuori, per limitare e controllare le persone, quello che fanno le persone. Oltre a ciò, ci sono anche tutta una serie di controlli prodotti attraverso l’organizzazione dello spazio, attraverso le attese delle persone, attraverso diversi dispositivi, mi interessava quindi andare a vedere come in una società come la nostra, consumistica, si creasse uno spazio d’edonismo come il clubbing, un edonismo controllato.
Questo è un concetto ormai piuttosto definito all’interno della sociologia dei consumi, ossia il fatto che la rappresentazione della società contemporanea come società edonistica sia molto limitante perché quello che si osserva è invece come gli spazi di consumo e le possibilità di sperimentare coi piaceri siano altamente controllati all’interno della nostra società.
L’altro aspetto che mi interessava andare a sondare, in riferimento al clubbing, era andare a vedere se le esperienze edoniche, quindi le esperienze di piacere (che sono diverse e molto complesse perché vanno dal ballare, all’ assume le sostanze, a stare con i propri amici, divertirsi e conoscere le persone, cazzeggiare, riposarsi sui divanetti e ascoltare la musica, in una banda incasinata e iperstimolante come è una discoteca grazie alle luci, grazie a suoni, grazie all’eccitazione dei corpi e così via) portate avanti da pensatori radicali, secondo i quali il piacere è uno strumento di lotta e crea uno spazio resistenza e dei saperi dal basso, permettano di contrastare gli imperativi normalizzanti della nostra società contemporanea.
Cosa significa però questo? Che si parla di uno spazio di consumo, in cui il mercato definisce molte delle delle aspettative delle persone, delle possibilità e delle pratiche che possono mettere in campo, nonostante questo anche in uno spazio del genere c’è sempre una possibilità di autodeterminazione politica è di resistenza agli operativi normalizzati.
Nel tuo libro parli tantissimo della ricerca sfrenata del piacere come esperienza di riappropriazione e forma di rottura di un’esistenza votata al modello produci-consuma-crepa.. potresti parlarcene meglio e dirci come questa ricerca può essere in sé una rivendicazione politica?
Nel momento in cui mi sono dato l’obiettivo di analizzare il portato politico, e lo spazio politico, che apre all’esperienza del clubbing era necessario inquadrarlo rispetto all’orizzonte esistenziale che caratterizza la contemporaneità.
Pertanto sono andato a vedere quella letteratura che provava a descrivere i processi di soggettivazione all’interno di una società neoliberista come quella contemporanea. Quello che caratterizza una società neoliberista come la nostra è il fatto che la relazionalità economica è arrivata a caratterizzare qualsiasi aspetto della nostra vita, non solo più il mercato, ma il mercato si è mangiato tutto il resto.
E soprattutto si sta anche, lentamente, mangiando la nostra sanità mentale.
Questo per dire che, nel momento in cui la nostra società si caratterizza per essere una società della prestazione, in cui valutiamo noi stessi e gli altri in base al nostro successo, siamo continuamente in competizione. Non siamo in competizione solo con gli altri, diventando nemici l’uno dell’altro, ma soprattutto con noi stessi rispetto a come pensiamo che dovremmo essere, come dovremmo migliorarci, non in termini semplicemente idealistici ma in termini di successo e di capacità di raggiungere gli obiettivi sociali a cui sono stato socializzato fin dalla nascita.
Dal momento che la nostra società si caratterizza per questo eccesso di agire orientato al successo, diventa necessario nel momento in cui studiamo un fenomeno e vogliamo comprenderne il potenziale politico, vedere se il fenomeno in esame – in questo caso il clubbing – ci permette una presa di coscienza, ci permette di resistere, utilizzando la terminologia foucaltiana, a questi processi di normalizzazione.
All’interno del clubbing questo può accadere, anche se non è generalizzabile a tutt*, non tutti i contesti sono adatti per questa produzione di sapere attraverso le pratiche edoniche del clubbing ma ci sono alcuni aspetti importanti da sottolineare che sono il fondamento del suo potenziale politico.
Ad esempio la sperimentazione col corpo, che smette di essere anestetizzato, smette di essere una superficie in cui appiccicarci dei simboli come se fosse solo una lavagna da utilizzare per la propria rappresentazione estetica, smette di essere qualcosa da disciplinare attraverso l’attività fisica per renderlo conforme a certi modelli estetici, per diventare invece uno spazio in cui il corpo può sperimentare, in cui provare piacere, in cui conoscere se stessi attraverso un uso ludico di esso, che non punta ad un obbiettivo ma vuole giocare. Il corpo non diventa un qualcosa di disciplinato e controllato ma diventa quindi uno strumento per godersi il momento.
Questo permette anche di sentire il proprio corpo in maniera diversa, perché non è il corpo tirato, in tensione, di chi lavora o di chi è in palestra ma è il corpo eccitato, gioioso di chi sta ballando o è stanco perché è tutta la sera che si è divertito ed è sdraiato godendosi la sensazione di stanchezza, di ebbrezza, che un po’ alla volta lascia lo spazio ad altre sensazioni di soddisfazione.
Oltre al corpo, perché non c’è solo questo, c’è anche il fatto che la nostra società proprio per questo imperativo alla competizione è altamente solipsista, ossia vediamo noi stessi come degli individui isolati dagli altri, c’è un forte io-centrismo alla base del principio di prestazione.
Nel clubbing, invece, per qualche ora troviamo una perdita dei confini della nostra soggettività, ci si fonde più facilmente con gli altri.
Come dice una persona che ho intervistato, “ci si sente sulla stessa barca con gli altri” e quindi ci sono maggiori momenti di condivisione, maggior aiuto reciproco e ci si sente più vicini.
C’è una solidarietà più generalizzata, perché ad esempio nel momento in cui sei sul dancefloor e stai ballando, se vedi qualcuno che ha sete o cerca una cicca o è accaldato vai e lo rinfreschi con quello che hai, col tuo ventaglio, oppure gli dai il tuo cocktail e chissà.. tutto ciò è chiaramente in contrasto con il solipsismo di cui sopra.
Poi c’è anche il fatto di essere immersi in una società come quella che abbiamo descritto, in cui si è sempre in competizione con se stessi e con gli altri, non si è mai soddisfatti di quello che si è.
Nel clubbing, per qualche momento o qualche ora, grazie alla musica, grazie al divertimento, grazie a quello che si sta facendo, ci si distacca completamente dal proprio quotidiano e non si pensa agli impegni lavorativi, non si pensa ai fallimenti scolastici, non si pensa a quello che si deve fare durante la settimana: ci si smette di giudicare. Una persona che ho intervistato usa un termine significativo “ci si spegne”, per qualche ora finalmente si riesce a spegnere la voce dentro il proprio cervello che dice quotidianamente quello che non va e quello che si dovrebbe migliorare. Per un po’ sei solo tu con i tuoi amici, o degli sconosciuti, a goderti il momento. Questo è altamente importante per quello che sono gli obiettivi di questa ricerca.
Quello che emerge è un modello antropologico molto diverso da quello della società moderna: il maschio bianco, borghese, razionale e sobrio, e non troviamo neppure il modello antropologico dominante in discoteca, quello della nostra contemporaneità liberista del manager d’azienda o dell’imprenditore.
Non si trova il modello di persona iper competitiva, ossessionata dagli obiettivi e che porta sempre a termine tutto, con una forte capacità di controllo ed intraprendenza, che utilizza tutte queste sue capacità per raggiungere a qualsiasi costo l’unico obiettivo possibile, ossia il successo.
Quello che emerge, invece, come modello antropologico del clubbing è il bambino. A caratterizzare la figura del bambino è un soggetto che rifiuta le pressioni e la rispettabilità della vita adulta, in cui alla razionalità utilitaristica neoliberista oppone la voglia di divertirsi e di non essere produttivi, in cui si sprecano le proprie energie perché far festa tutta la notte è qualcosa che richiede molto al proprio corpo e alla propria psiche ma non con un obiettivo di produttività per ottenere qualcosa e raggiungere un obiettivo, spreca queste energie solo per divertirsi.
Non è una figura che vuole dare il meglio di sé, non è assolutamente in controllo, ma attraverso il proprio corpo e la propria frivolezza si gode il momento.
Grazie mille Enrico! Ci vediamo il 19 Gennaio, alle ore 18, per la presentazione di “Notti tossiche” al Centro Java!